IL BUSINESS PROCESS REENGINEERING: UN CASO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Nicola Labalestra

Vi proponiamo un estratto della tesi di Nicola Labalestra dal titolo: "Il Business Process Reengineering: un caso nella Pubblica Amministrazione". Il lavoro può essere acquistato su Tesionline.

Business Process Reengineering

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La storia dell’organizzazione aziendale ha origini molto remote. Dovendo indicare una data cui far risalire l’”anno zero” potremmo forse fissarla nel 1903. Fu proprio in quell’anno che un geniale imprenditore statunitense, un certo Henry Ford, ebbe una visione folgorante: “un’automobile per ogni famiglia”.
Il concetto introdotto da Ford era così semplice quanto innovativo. Quello che occorre evidenziare è che non fu inventata la produzione di massa, che da tempo veniva utilizzata, ma questa venne applicata per la prima volta per una produzione complessa che chiedeva il coordinamento di interi stabilimenti produttivi. Nel 1903, Ford dette quindi avvio ad un ripensamento completo del modo di progettare, produrre e distribuire.

Il successo di Ford è ormai leggendario: uscita dagli stabilimenti di Detroit, nel Michigan, la nuova auto venne prodotta in circa 15 milioni di esemplari nell’arco di quasi 20 anni, una cifra astronomica se pensiamo che l’intera produzione mondiale di allora era di meno di 30 milioni di automobili.
Per realizzare il suo sogno, Henry Ford dovette inventare un metodo produttivo assolutamente nuovo per l’epoca, un vero e proprio modello che, con poche modifiche, ha resistito egregiamente per quasi un secolo. I concetti stessi di divisione del lavoro, specializzazione, automazione, hanno travalicato la natura di “metodo” per divenire sinonimi di produzione ed efficienza; in effetti il loro sistematico utilizzo permise alle linee produttive di Ford di ottenere risultati impensabili in termini di ripetitività, velocità ed efficienza.

La situazione, oggi, si è però notevolmente modificata: il successo di un servizio è legato a fattori diversi, la vita media di un prodotto si è drasticamente ridotta (dai 20 anni del Modello T ai 3 di qualsiasi autovettura moderna) e se un tempo produzione di massa era sinonimo di efficienza oggi è efficiente produrre solo quello che serve. A tal proposito Prestopino in un articolo sul Lean-Thinking afferma che la parola d’ordine oggi per conquistare un cliente è personalizzare, così, se un tempo Ford affermava ironicamente che ogni americano avrebbe potuto possedere una Modello T del colore che preferiva purché fosse nero, oggi qualsiasi prodotto, e nella fattispecie qualsiasi automobile deve essere disponibile in decine di combinazioni di attributi differenti.

Il cambiamento di fattori economici, sociali e culturali che hanno contraddistinto il XX secolo hanno mostrato come l’intero sistema vada ridisegnato: al giorno d’oggi basta una fluttuazione della domanda, dei flussi finanziari, dei rapporti internazionali o una minima innovazione tecnologica per provocare il fallimento delle piccole imprese così come dei colossi industriali.
La soluzione è naturalmente quella di adattare le logiche di produzione e di gestione agli attuali contesti competitivi e sociali. Tra le molte soluzioni proposte quelle valide ed universalmente accettate sono le tecniche della qualità totale, del Just-In-Time, il Supply Chain Management ed il business process reengineering; ed è appunto di quest’ultimo strumento che ho voluto approfondire la mia conoscenza nel lavoro che mi accingo a svolgere.

Introduzione

Taylor Frederick Winslow (Germantown 20/03/1856 – Filadelfia 21/03/1915) ingegnere statunitense e studioso dei rapporti produttivi tra uomo e macchina, applicò le sue ricerche alla razionalizzazione del lavoro che prese il nome di taylorismo.

Il taylorismo è stato un tentativo di ridurre la complessità attraverso un’opera di razionalizzazione in cui la tecnologia incorporava sempre più la conoscenza e l’uomo, considerato un fattore di disturbo, era sempre più diviso tra progettazione ed esecuzione. L’organizzazione era l’insieme delle regole che consentivano l’efficienza nell’uso delle risorse tecnologiche ed umane.

I tre principali obiettivi della teoria del Taylor sono:

  • accentrare e razionalizzare le linee di autorità all’interno dell’impresa;
  • aumentare la produzione e il rendimento di uomini ed impianti non solo attraverso la riorganizzazione ma anche attraverso la trasparenza totale dei costi, delle procedure, dei tempi e dei metodi di lavoro;
  • usare la scienza non solo come criterio di azione ma anche come base legittimante delle nuove proposte

Oltre a quelle del Taylor, numerose sono state le teorie di organizzazione delle aziende, ma tutte possono essere ricondotte ad una matrice comune: la staticità.
Per staticità s’intende l’incapacità delle aziende di adeguarsi alle evoluzioni del contesto ambientale in cui l’impresa opera. La mancanza di risvolti negativi sulle performances delle imprese che adoperavano un’organizzazione di quelle appena delineate, era dovuta allo scarso, o per nulla competitivo contesto in cui queste operavano.

Gli anni ‘60, infatti, furono testimoni dell’automazione industriale che permise alle imprese di accrescere la loro produttività senza peraltro garantire la competitività.

Oggi anche se la tecnologia è molto più pervasiva, il vero fattore di competitività è l’uomo e la sua capacità di applicare la conoscenza ai processi produttivi dell’impresa.
Il tentativo tayloristico di ridurre la complessità oggi non ha più senso in quanto la complessità va accettata e trattata.
Uscire dal taylorismo significa prendere atto che esistono gli strumenti per gestire complessità e variabilità. La pervarsità delle nuove tecnologie, in particolare quelle dell’informazione, che rendono meno distinguibili i confini settoriali; la crescente flessibilità dei processi produttivi; lo sviluppo internazionale delle imprese e la crescente globalizzazione dei mercati; l’evoluzione parallela della domanda che supera la richiesta del soddisfacimento dei bisogni primari, però, fanno nascere nell’azienda l’esigenza di ottenere la customer satisfaction.

I primi a rendersi conto di ciò furono i dirigenti giapponesi i quali raggiunsero un vantaggio competitivo sulle concorrenti, grazie alla cultura giapponese fondata sui principi del confucianesimo che dava ai lavoratori una completa dedizione agli obiettivi dell’impresa.
Nel resto del mondo occidentale, invece, mancando in toto i presupposti per lo sviluppo di un’organizzazione industriale sul modello giapponese i problemi persistevano ancora. Problemi che non era possibile risolvere migliorando lo svolgimento dei singoli compiti.

Crescente era la necessità di un maggiore coinvolgimento dei lavoratori e di un sistema più efficiente di comunicazione all’interno dell’intero complesso organizzativo.

Lo sviluppo di una concorrenza globale inarrestabile, una clientela sempre più preparata ed esigente rese lapalissiano che il modus operandi del passato non era più adeguato.
Fu così che nella seconda metà degli anni ottanta qualcosa cominciò a cambiare.

I sistemi informatici, che erano già presenti nelle aziende, assunsero il ruolo di sistemi operativi; così che le informazioni cominciarono a circolare meglio sia dentro che fuori l’azienda, oltre che assumere un importante ruolo coadiuvante nelle decisioni del management.
Ben presto, però, le imprese si resero conto che non bastava informatizzare l’intera organizzazione per aumentare il fatturato. In quegli stessi anni, alcune aziende, tra le quali la Ford Motor Company, la Texas Instrument e la Taco Bell avviarono un programma di miglioramento del proprio modo di lavorare destinato a trasformare radicalmente l’industria americana: avviarono così un rivoluzionario programma di reengineering.
Con il reengineering l’attenzione fu spostata sui processi e cioè all’intera sequenza di attività che nel loro insieme crea valore per il cliente.

Le previsioni non negative per il futuro furono surclassate da risultati ben più positivi e una volta che la notizia iniziò a diffondersi, il reenginering assunse le dimensioni di un fenomeno di massa che investì l’intera scena economica mondiale.
Agli effetti positivi, però, andò ad affiancarsi un effetto negativo: i top manager, infatti, si resero conto di non sapere più come gestire le proprie aziende in quanto il reengineering ha trasformato non solo il loro modo di lavorare, ma ha modificato profondamente anche le loro organizzazioni.
Non si trattò, quindi di una semplice soluzione ad un problema di performance, ma di una totale rivisitazione delle teorie nate in quasi duecento anni di storia dell’industria.

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In questo lavoro, cercherò di mostrare come la reingegnerizzazione modificò il vecchio modo di intendere l’organizzazione dell’azienda illustrando i suoi principi e le sue configurazioni dimostrando che incentrando l’attenzione sui processi è possibile migliorare le performances aziendali nonché la customer satisfaction.

Per creare un mondo di organizzazioni gestite per processi, occorre rivedere il tipo di lavoro che le persone svolgono, le mansioni loro affidate, il know-how di cui necessitano, il modo per valutare e remunerare, il loro rendimento, il ruolo del manager, i principi strategici ai quali s’ispira l’impresa.

Nell’ultima parte del mio lavoro esporrò quella che è l’attuale tendenza: l’applicazione del reengineering alla Pubblica Amministrazione; esposto che sarà completato da un esempio concreto di B.P.R. nella P.A.: il caso I.N.P.S.
Infatti, l’elevata burocrazia, la corruzione e il clientelismo presenti nel nostro Paese rendono, dal punto di vista della customer satisfaction, la performance della Pubblica Amministrazione molto deludente.
Così oggi, dati i molteplici successi dell’applicazione nel settore privato, il tentativo è quello di applicare il reengineering process anche alla Pubblica Amministrazione.

PER SAPERNE DI PIU':
Il Business Process Reengineering
Terminologia: Business Process Reengineering
Definire i processi
I processi e il miglioramento continuo
Come classificare i processi
Il Knowledge management